Per me scrivere è una forma di meditazione potentissima. Costringe all’ascolto profondo di sé. Scrivere significa essere più forte delle tue paure, che si impongono tra una parola e l’altra come a volerti schiacciare e paralizzare e che invece, alla fine della frase, sono solo una sagoma nella nebbia fitta che precede una splendida giornata di sole. Nello scrivere il tuo qui ed ora è più immenso che mai perché conclude il già passato e non è più e accoglie il non è ancora ma sarà. Per scrivere devi far pace con il mondo perché solo così saprai odiarlo e perdonarlo, e tutte le sfumature dell’universo alimenteranno la tua empatia, tua miglior alleata, nutrimento della tua gentilezza. E se la tua scrittura avrà il coraggio di esporsi agli altri sarà un’esibizione di umanità, ultima e più difficile prova, e traguardo più nobile.
Grazie Vittorio Zucconi, la tua anarchia espressiva è stata un’ispirazione continua, i tuoi incipit impegnativi, irriverenti, mai scontati e le tue chiusure dolci, gentili, in pace. Modello di autenticità e talento, impegno e disincanto.
Penso che pochi abbiano quella straordinaria capacità di evocare con le parole immagini, luoghi, gesti comuni, stati dell’animo. I più hanno dedicato questo talento ai romanzi, tu l’hai dedicato al giornalismo e tutti noi ne abbiamo immensamente beneficiato.
Quanti ingredienti non ordinari nella tua vita, l’infanzia modenese, semplice e delimitata, gli studi classici con la scoperta della scrittura, strumento e arte allo stesso modo, che non hai mai abbandonato. E poi Bruxelles, Washington, Parigi, Mosca e poi ancora più lontano, in termini di distanza e di cultura, il Giappone. Hai scritto, hai parlato, hai accompagnato. Quanto ho amato la tua rubrica di Radio Capital, la voce esplodeva fuori dalla radio, si arrampicava su vette intellettuali e poi scendeva nella vita di tutti i giorni, per poi rientrare, come sempre dolcissima, negli altoparlanti della radio.
Grazie Vittorio, aspetto il tuo prossimo editoriale
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